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MONEGLIA E LA SUA STORIA

 

Origini

 

Qualcuno favoleggia che l’origine di Moneglia, anche se in maniera dubbia, risalga addirittura agli Arcadi giunti dal Peloponneso sulle nostre coste nel XII secolo a. C. Ma attenendosi alla documentazione certa, si sa che la Monilia romana, inserita nella IX regio augustea, venne citata per la prima volta nella Carta dello Stato Maggiore dell’Impero Romano e più tardi nella mappa stradale imperiale nota come Tabula Peutingeriana. Tale mappa, copia medievale di un originale romano del III-V secolo d.C., riporta la rappresentazione della rete stradale imperiale dalla Britannia fino all’Oceano Orientale, menzionando i principali luoghi di sosta lungo le direttrici di traffico più battute da uomini e merci. Lungo la via che collegava le località costiere del levante ligure, nota da età imperiale col nome di via Aurelia, il cui tracciato è tuttavia possibile abbia ripreso quello della più antica strada repubblicana del 109 a.C. la via Aemilia Scauri, tra Boron e la mansio In Alpe Pennino (da collocarsi con ogni probabilità sul Passo del Bracco), è citata ad Monilia, intesa non come insediamento urbano, ma come bivio per il pagus Monilia e quale probabile stazione militare. Dunque il pagus (villaggio) era noto già ai Romani quale prezioso gioiello incastonato tra due rocciosi promontori, caratteristici di un territorio di difficile accesso, stretto tra i monti e il mare, abitato in antico dalla fiera popolazione dei Liguri. 

La denominazione Monilia è luogo comune che si faccia risalire al latino monile (plurale monilia, gioielli), ma qualche studioso di toponomastica sostiene che possa derivare da munire (essere ben difesa), cioè luogo protetto naturalmente, di difficile accesso. In ogni caso nel 1537 l’annalista Agostino Giustiniani nel primo libro dei Castigatissimi Annali della Repubblica di Genova scriveva:“ Da Sestri a Moneglia lungo la riva del mare si incontrano cinque miglia: ed è Moneglia partita in due borghi più lunghi che larghi…e fu già detta Monilia in latino che vuol dire gioielli preziosi per cagione dei fruttiferi e ameni colli, quali sono circostanti a questa terra”. La sua testimonianza appare particolarmente significativa poiché consente di comprendere che, nonostante lo scorrere del tempo e il passaggio dalla dominazione romana a quella genovese, l’antico borgo marinaro riuscì a mantenere intatte quelle caratteristiche peculiari di natura ambientale e paesaggistica che lo resero e, in certa misura, lo rendono tuttora- assolutamente apprezzabile.

Dal XII secolo in poi, quando le citazioni si fanno più frequenti, Moneglia fu strettamente legata alla nascente Repubblica di Genova e fece parte del suo territorio fino alla caduta della stessa, nel 1797.
Nel 1284, Moneglia, alleata appunto di Genova, contribuì alla vittoria navale della Meloria e le catene sottratte al porto di Pisa, nel 1290 e ricevute in dono dalla Repubblica come riconoscimento alla partecipazione, sono visibili all’esterno della Chiesa di Santa Croce.

Moneglia fu podesteria fin dalla fine del XIV secolo, la prima documentazione di un podestà risale al 1481 (fonte archivio comunale).

Dalla podesteria di Moneglia: dipendevano Lemeglio, Deiva, Mezzema, Agnora, Littorno, Scaro, Stozio, Comeglio, Campo soprano, Campo sottano, S.Saturnino, Tessi, Bracco, Casale, Vallecalda, Chiesanuova (ora San Lorenzo e Curva (Crova). Deiva rimase sotto la podesteria di Moneglia fino al XVIII secolo. 

Citando ancora il Giustiniani, da lui sappiamo che nel XVI secolo gli abitanti di Moneglia erano composti da 400 “fuochi” (il fuoco era una famiglia) e quindi calcolando una media di 5 persone per famiglia, veniamo ad avere circa 2000 abitanti. I Monegliesi erano in massima parte contadini; pochi gli artigiani, i marinai (anche se Moneglia sarà patria di grandi famiglie di “capitani”, come i Bollo, i Fidanza, i Gottuzzo, i Vernengo), i pescatori. Tre i mercanti.

Gli eventi più di rilievo da ricordare sono la pestilenza che colpì tutta la Liguria negli anni 20 del 1500 e le incursioni saracene che flagellarono le coste liguri per tutto il XVI e anche il XVII secolo.
Con la caduta della Repubblica di Genova (1797) la Liguria entrò a far parte dell’impero napoleonico e ne subì tutte le conseguenze. Sconfitto Napoleone nel 1814, gli abitanti della Liguria anelavano a ristabilire la repubblica, ma purtroppo, come ci narra la grande storia, questo desiderio fu frustato dalle grandi potenze riunite a Vienna, che aggregarono la Liguria, con il nome di Ducato di Genova al Regno di Sardegna. Moneglia venne inclusa nella provincia di Levante che comprendeva tutto il territorio da Sarzana fino a Portofino, suddivisa l’anno successivo in due province, di La Spezia e di Chiavari. I liguri non erano contenti ma dovettero accettare la dominazione sabauda e i monegliesi, in particolare, rimasero sempre devoti all’ex Serenissima Repubblica di Genova.

 

Luoghi di interesse



Chiesa di S. Croce

 

La più antica notizia della pieve di Moneglia è una donazione, datata al 1033. Altre donazioni e testimonianze portano a concludere che la Chiesa originale sembri risalire alla prima metà del XII secolo e pare che nel XIII secolo sia stata dedicata all’Esaltazione della Croce, che la tradizione vuole ritrovata in riva al mare.  

L’attuale chiesa è stata costruita da Orazio Bassetti dopo il 1726, molto probabilmente sull’area dell’antica pieve del XII secolo. Infatti il 16 settembre 1725 la volta della navata centrale crollò, durante la celebrazione di un matrimonio causando 21 morti e molti feriti. Quindi la chiesa che vediamo oggi è comunque un rifacimento e un’opera successiva al XVIII secolo; la facciata è stata rifatta nel 1823 e alcune decorazioni interne sono state aggiunte nella prima metà del Novecento.

Nell’interno, le varie cappelle con le loro dedicazioni; da ricordare al terzo altare destro una Immacolata Concezione, statua lignea trasportata dalla soppressa chiesa dei francescani, attribuita al più importante scultore (in legno) del Settecento ligure, Anton Maria Maragliano e alla terza cappella sinistra una Madonna del Rosario, altra statua lignea attribuita sempre allo stesso o alla sua scuola. La prima cappella era dedicata a San Giovanni Battista, ma nel 1876 furono abbattuti altare e muro, per creare il battistero. 

L’altare maggiore, settecentesco, è opera pregevole sia per la finezza della lavorazione sia per le proporzioni. In alto nel presbiterio, spicca la Santa Croce che dà l’intitolazione alla Chiesa: attualmente non si tratta più del Crocifisso ricordato nelle fonti scritte già dal XIII secolo, ma di una Croce, ridipinta nel 1933 dal pittore Giulio Corio e copia di una sottostante opera di XVII secolo. 

In sagrestia è conservata un’Ultima cena attribuita al pittore Luca Cambiaso, uno dei maggiori pittori liguri del ‘600, nato nel 1527 nell’abitazione proprio di fronte alla Chiesa.  

Il campanile della chiesa di Santa Croce è uno dei più alti di Liguria; il suo restauro nel 1875 è attestato da un’epigrafe dell’illustre storico dell’arte Federico Alizeri, posta sulla porta.

Il sagrato a “risseu” risale al 1882 ed è uno dei più grandi e meglio conservati della Liguria. 

Sul fianco destro della chiesa è murata una lapide del 1290 nella quale si cita Trancheo Stanco e altri monegliesi che offrirono un valoroso aiuto a Genova contro Pisa, nella battaglia di “Porto Pisano”; i due anelli appesi a lato facevano parte della catena che chiudeva il porto di Pisa ed erano stati donati da Genova alle cittadine partecipanti in segno di riconoscimento. Nella traduzione è citata la battaglia della Meloria, 1284, perché abitualmente si fa riferimento ad essa come luogo della sconfitta di Pisa



Oratorio dei Disciplinanti

 

Sullo stesso piazzale si trova anche l’Oratorio dei Disciplinanti che oggi risulta essere tra gli edifici più antichi, meglio conservati, di Moneglia: qui sapienti restauri hanno fatto emergere ben cinque strati di affreschi di varie epoche, comprese fra il XIII e il XVIII secolo, che erano stati via via coperti in seguito a necessari rifacimenti decorativi per le pestilenze o per motivi devozionali. 

L’Oratorio era retto dalla Confraternita dei Disciplinanti, estintasi nel 1964.

Il fenomeno degli oratori e delle confraternite si sviluppa nel Medioevo: le Confraternite sono gruppi di persone che si associavano sotto la protezione di un santo per compiere azioni di misericordia, per mettere in atto l’insegnamento del Vangelo e per molte altre opere di bene. Per esempio aiutavano le vedove e gli orfani, o si occupavano dei malati durante le pestilenze. I membri delle Confraternite si riunivano negli oratori.

Questo oratorio è dedicato alla Madonna e, come si è detto, non si conosce la data precisa di fondazione. L’architrave sulla porta di ingresso riporta “Seculo decimo”, in realtà un’epigrafe sulla parete esterna dell’edificio e gli affreschi più antichi all’interno dell’oratorio sono datati al 1200. 

Durante i secoli i confratelli si trovarono a dover ricoprire gli affreschi con calce o intonaco e a ridipingere nuovi cicli cosicché oggi si possono vedere vari strati affrescati con una datazione compresa tra il 1200 e il 1700. 

Dopo i restauri degli anni ’80-’90, il mantenimento delle decorazioni e della struttura stessa è minato costantemente dall’umidità e dalla salsedine.   

La lapide funeraria del 1291 murata sulla facciata est dell’oratorio è  riferita alla morte di due mercanti della lana provenienti da Firenze.



Chiesa di San Giorgio


Costruita in stile gotico nel XIV secolo, officiata per quasi duecento anni dai francescani, la cui presenza è testimoniata dal quattrocentesco chiostro attiguo alla chiesa, venne restaurata e trasformata nel 1800. L’interno della chiesa custodisce due notevolissimi polittici: il primo, realizzato da Giovanni Barbagelata da Rapallo all’inizio del Cinquecento, rappresenta San Ludovico da Tolosa in trono tra i Santi Antonio Abate, Ambrogio, Stefano e Nicola; il secondo, dedicato a San Lorenzo, è stato sottoposto in anni recenti ad un’attenta opera di restauro, che lo ha liberato da pesanti ridipinture e che consente oggi di ammirarne l’originaria luminosità. Il polittico, già ritenuto anonimo, è stato assegnato al pittore Giovanni da Pisa, attivo a Genova tra 1401 e 1423, ed esso riveste un’importanza particolare perché pervenuto completo della carpenteria originale. Il polittico fu trasferito nella chiesa di San Giorgio nel 1920 dalla sua sede originaria, la chiesa collinare di San Lorenzo, che la tradizione reputa la più antica di Moneglia. La chiesa di San Giorgio conserva inoltre un cassone in legno policromo con San Giorgio che uccide il drago, di Pietro Galleano, una Crocifissione di Bartolomeo Guidobono e una pregevole Adorazione dei Magi, ritenuta opera giovanile di Luca Cambiaso, uno dei pittori genovesi del XVI secolo, nato a Moneglia. 

Sulla volta del presbiterio compare un affresco di San Giorgio che uccide il drago attribuito, seppur senza documentazione verificabile, a uno dei grandi del Seicento europeo Peter Paul Rubens. L’altare maggiore è una pregevole opera marmorea dono dell’illustre famiglia monegliese Botto.





Chiostro francescano

 

Sul fianco sinistro della chiesa di San Giorgio, degno di nota è il chiostro francescano, risalente al XV secolo e restaurato all’inizio degli anni 2000. 

I frati francescani giunsero a Moneglia nel XV sec. (1484), su invito della comunità e col beneplacito del papa Sisto IV; vi rimasero fino alla seconda metà dell’Ottocento (1866), dopo la soppressione da parte dello Stato Italiano. Il convento, inizialmente facente capo alla chiesa di San Giorgio, fu poi collegato ad un’altra chiesa, costruita nel 1670, dedicata all’Immacolata Concezione. Attualmente ne possiamo vedere tracce nell’edificio con intonaco rosso e torretta che si trova davanti alla stazione dei Carabinieri, in via F.lli Botto. In particolare il Chiostro conobbe fama e splendore, tanto da essere citato nella “Descrittione della Lyguria” del 1537 dell’annalista genovese Agostino Giustiniani. Inoltre è noto che nel 1600 il convento possedeva una biblioteca di circa 600 volumi (dispersa dopo l’abolizione degli ordini religiosi da parte di Napoleone nel 1810), donata dal Cardinale monegliese Clemente Dolera, che i francescani avevano accolto e fatto studiare. Dopo l’abbandono da parte dei frati, a seguito delle leggi napoleoniche, il convento fu ceduto al municipio e fu utilizzato dal Comune come scuola e magazzini, finché nel dopoguerra tornò proprietà della Chiesa, grazie ad una permuta.     

L’ex convento francescano è attualmente collegato con la chiesa di San Giorgio; il chiostro in particolare è stato restaurato nei primi anni 2000 e inaugurato il 24 aprile 2005, nel giorno della festività del Santo. E’ costituito da due porticati, uno interno ed uno esterno. All’interno si trovano un pozzo all’angolo nord est e, al centro ovest, un “risseu” con lo stemma di Papa Pio XII (1939-1958), a testimoniare il momento in cui il chiostro ripassò sotto l’amministrazione ecclesiastica.

In seguito all’analisi dei mattoni, di cui sono costituiti i pilastri del porticato (prima del restauro i mattoni erano a vista) e degli intonaci, è stato possibile datare il chiostro al XV secolo. E’ inoltre emerso che i mattoni erano intonacati proprio di giallo, colore che è stato riproposto nel recente restauro. I mattoni erano stati scrostati dall’intonaco molto probabilmente nel dopoguerra per dare l’idea di “antico”. 

Nelle volte e nelle lunette sono raffigurate storie legate alla vita di San Francesco, qui dipinte a secco su calce e non affrescate. Le riproduzioni delle storie della vita di San Francesco sono tipiche dei conventi francescani: la lunetta contiene l’immagine e il cartiglio spiega cosa vi è rappresentato. Non si conosce di preciso l’epoca di queste raffigurazioni, ma probabilmente, per stile e uso dei colori, è posteriore al XVI secolo. Il restauro ha previsto la messa in sicurezza e il consolidamento dell’intera struttura, ma non la ricostruzione dei dipinti, anche perché in alcuni il tema trattato era veramente irrecuperabile. 

Sulla parete sud è presente un’edicola a bassorilievo del 1455 di origine ignota, con due figure in piedi, una con l’aureola e l’altra con le ali; sembra, però, che aureola ed ali siano state aggiunte in un secondo momento. E’ verosimile che l’edicola sia di origine molto più antica, forse anche riferibile a una tematica pagana, poi modificata per adattarla alla mentalità cristiana.

Sulla parete nord è murato un medaglione in ardesia, scolpito con la figura di un agnello, rappresentante Gesù che invita i suoi discepoli a seguirlo.

Nell’angolo nord, sotto il porticato, si trova un lavabo, in realtà una misura da grano, di incerta provenienza, con lo stemma di Genova del 1500.

Sempre all’interno una bella campana bronzea del 1374. 

Il pavimento del chiostro è in mattoni, datati, in base all’analisi fatta, alla seconda metà del 1800. Al piano superiore, sotto al piano pavimentale, è stato trovato il pavimento originario, costituito da grosse lastre di ardesia, tagliate a spacco, non tutte della stessa forma. Si trattava non di un caso, ma della tecnica adoperata in Liguria abitualmente anche per i tetti. 

Attualmente il Chiostro e l’ex-convento sono proprietà della Chiesa, destinati in parte a residenza privata ed in parte ad uso parrocchiale.

I soggetti sacri riferiti alla vita di San Francesco, dopo la porta, da destra verso sinistra sono:

 - San Francesco circondato dal Papa e da altri prelati, quando, dopo aver scritto la regola, decise di fondare l’ordine religioso e andò dal Papa per l’approvazione. 

- nell’angolo a destra il presepe. 

- sull’altra parete, le lunette rappresentano miracoli e guarigioni che hanno caratterizzato la vita del Santo

- sulla parete est la lunetta sopra la statua rappresenta San Francesco sul letto, morente. La ciambella che spicca sul tavolo è un riferimento ad una leggenda legata alla sua vita: San Francesco aveva un’amica, Jacopa, che spesso gli portava in dono ciambelle di cui lui era ghiotto. In punto di morte San Francesco pare avesse espresso il desiderio di poter averne una.

- sempre sulla stessa parete un altro lembo di dipinto rappresenta la morte di San Francesco sdraiato, secondo la sua volontà, sulla nuda terra, in senso di umiltà.

- un altro dipinto, a sinistra della porta di ingresso, raffigura San Francesco su un pulpito che parla ai vescovi e nel cartiglio sottostante sono scritti nomi di città. Si tratta di un episodio della sua vita falso, mai accaduto, ma i nomi sono realmente quelli delle città in cui San Francesco aveva avuto il permesso di predicare.

  




Torre di Villafranca


Alcuni storici sostengono sia stata eretta nel XII secolo, ma successivamente manomessa e parzialmente distrutta. Ma alla luce di un recente studio di Valeria Polonio, apparso negli atti del convegno (Moneglia 10-11 ottobre 2008) sull’Oratorio dei Disciplinanti (L’oratorio dei Disciplinanti di Moneglia - Testimonianza di fede e di arte nella storia di una Comunità - Chiavari 2012) appare chiaro ciò che può aver indotto all’interpretazione citata: il nome Villafranca nei documenti presi in esame dalla Polonio è riferito alla struttura che attualmente conosciamo come Monleone, programmato non come semplice fortificazione, ma come un insediamento “franco” da tributi. Il toponimo Villafranca scompare poi nel corso del XIII secolo, rimanendo il solo riferimento ad un castrum Monelie (solo uno in realtà). Anche il Giustiniani nel XVI secolo nella sua Desrittione della Lyguria cita un solo castello a ponente. Ma tornando a quello che conosciamo come Villafranca, certo è che alla metà del XVI secolo i Monegliesi chiesero ed ottennero dal Senato di Genova il permesso di poter edificare, sulla propaggine a levante, una nuova fortezza per proteggersi dalle incursioni dei pirati barbareschi, i cui attacchi si stavano facendo sempre più frequenti. Esposta verso il mare, in posizione dominante, ben soddisfa le esigenze di avvistamento. Infatti nel 1564 la torre contribuì alla difesa del borgo contro i corsari che avevano devastato e depredato la vicina Lavagna. Passata nel XIX secolo a proprietà privata della famiglia Romani, fu adattata ad uso abitativo negli anni tra il 1936 ed il 1939 da Luigi Burgo, con la creazione di un parco ricco di essenze arboree mediterranee. Fu pesantemente bombardata durante l’ultimo conflitto mondiale. E’ stata tuttavia fatta oggetto in anni recenti (1996) di un attento recupero conservativo, che ha consentito di mantenere ancora ben leggibile l’impianto dell’insediamento fortificato originario.

 


Castello di Monleone

 

Non appena Moneglia entrò a far parte dei domini della Repubblica di Genova, fu decretata la costruzione di un bastione su un poggio a ponente del borgo per difenderlo dalle mire espansionistiche dei Malaspina. Esso fu innalzato in brevissimo tempo nel 1173 per volere del conte Ingone di Flessa e appena un anno dopo fu assediato dal conte Opizzo Malaspina, incitato dai Pisani, congiuntamente alle truppe inviate dai conti Da Passano e di Lavagna, per un totale di 3000 fanti e 150 cavalieri. Nonostante il massiccio dispiegamento di forze, la guardia del castello resistette finché non intervenne la Repubblica di Genova inviando un suo esercito a togliere l’assedio e porre in fuga il nemico. Come spiegato sopra, il castello originario fu fatto costruire non come semplice punto fortificato, ma come insediamento in cui attrarre e riparare la popolazione. Testimonianze scritte di questa antica fortezza, come la definisce il Giustiniani nel XVI secolo, ve ne sono molte nell’arco dei secoli. 

Oggi del castello originario ci resta solo la cinta muraria, nel cui perimetro sorge un castelletto edificato nei primi anni del XX secolo, realizzato dall’architetto Venceslao Borzani per volontà del marchese De Fornari, fiorentino, che aveva sposato la monegliese Teresa Botto in onore della quale fece appunto costruire il castello, simile alla dimora genovese dei Mackenzies, in stile Coppedé. Gli influssi dello stile Coppedè si manifestano soprattutto nel verticalismo del manufatto culminante con la "Torretta", nell'uso della merlatura e negli archetti pensili. Nel parco di più di 2000 mq. si possono ammirare alcune statue storiche, grotte costruite dall'uomo e rigogliose palme.



Le frazioni 

 

Bracco

Il Bracco è una piccola località sul crinale di una collina che divide Moneglia da Castiglione Chiavarese. Sorge lungo l'antica via romana Luni-Boron-Velleia, a 400 metri sul livello del mare. Per la sua privilegiata posizione offre al visitatore un panorama davvero incantevole, che guarda su Moneglia e le sue frazioni, lato mare, e su Castiglione Chiavarese, Campegli, Frascati e il santuario di Velva. 

Gli studiosi si sono chiesti da cosa possa derivare il toponimo “Bracco” e molti lo collegano alla voce del dialetto ligure arcaico "brack", "luogo aspro e deserto". Una della prime citazioni che si trovano di questo nome è datata 1605: il Podestà di Castiglione in una relazione nella quale citava i confini del suo territorio scriveva “...in circa delle case del Bracco, dove abitano li Bracchi di parentado e di famiglia...” (A. Ferretto - Il distretto di Chiavari - 1928). 

La via del Bracco, cioè l’Aurelia

Era lunica via possibile per chi da Roma voleva raggiungere la Francia in auto, fino all’avvento della ferrovia prima e dell’autostrada poi; fu tristemente famosa per il brigantaggio, ancora anche in tempi recenti. Nei secoli passati venivano presi di mira in modo particolare i corrieri postali che, essendo obbligati ad orari prestabiliti, si esponevano a grossi rischi, soprattutto quando trasportavano ingenti somme di denaro. Con l’apertura della strada carrabile nel 1823, il fenomeno non diminuì affatto. Nella seconda metà dell'Ottocento, in piena epoca delle diligenze, anche a Genova veniva citata la Casa Rotta, rifugio di una famiglia di malfattori. Il fenomeno che sembrava ridimensionato con l’avvento della macchina (la prima macchina transitò sul Bracco nel 1897) riprese vigore nell'immediato dopoguerra: banditi armati di mitra fermavano autocarri ed automobili. Chi non viaggiava in colonna in quegli anni, scortato prima dalle camionette degli alleati e poi da quelle dei nostri Carabinieri, correva brutti rischi. Oggi tutte queste storie di briganti sono solo un lontano ricordo. La stazione della Polizia Stradale, venne chiusa il 19 agosto del 1971. Però il Bracco va ricordato anche e in modo particolare per il passaggio di illustri personaggi: ambasciatori, regnanti, parlamentari, poeti, inventori, dignitari ecclesiastici, ecc., ai tempi della "diligenza", vi si fermavano per il cambio dei cavalli, per ristorarsi ed eventualmente alloggiare nella secolare trattoria degli Ameghino, denominata Davidin, di cui si ha notizia verso la prima metà dell’800.  Tra i personaggi famosi qui transitati si favoleggia del Gran Khan di Persia e di Luca Cambiaso. E’ documentato che nel 1784 vi passò a cavallo l'imperatore Giuseppe II. L' 11 luglio 1809 vi sostò, prigioniero dei francesi, il pontefice Pio VII. Alessandro Manzoni in una lettera del 7 agosto 1827, descrisse all'amico Grossi, il panorama che ammirò passando dal Bracco. Successivamente si ricordano Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi. Nel 1853 il famoso musicista Riccardo Wagner passò dal Bracco, diretto a La Spezia. Proclamata l'unità d'Italia nel 1861, gli abitanti del Bracco videro il passaggio del primo Re d'Italia, Vittorio Emanuele II di Savoia, diretto alla volta di Firenze. Nel 1878 Teodoro Roosvelt, presidente degli Stati Uniti, nel suo viaggio di nozze, si recò a Genova passando per il Bracco; viaggio che volle ripetere venticinque anni dopo nel 1903. Si dice anche che alla regina Elena di Savoia con i figli, in viaggio verso la Spezia, abituale soggiorno balneare della famiglia reale, venne servito il pranzo nella sala della trattoria Davidin. Il 25 settembre 1912 la strada del Bracco fu teatro di un incidente automobilistico che costò un occhio a Gugliemo Marconi. E poi dal 1908 vi transitava annualmente il Giro d’Italia 
Ora il Bracco è una ridente località a cavallo della collina, dalla quale si gode un fantastico panorama e dove, in estate ci si può ristorare dalla calura della spiaggia.

 

San Saturnino

San Saturnino si presenta al visitatore come un intreccio di viuzze e scalinate in pietra arenaria su cui si affacciano pittoresche case in pietra e ardesia o strette costruzioni, che si sviluppano su più piani, dalle facciate rosa o gialle tipiche della tradizione architettonica ligure. Fulcro del paesino è la chiesa parrocchiale che troviamo nell’estremità inferiore della frazione. 

La fondazione della chiesa risale probabilmente al XII secolo, in base alla citazione di un Folco de Sancto Saturnino nella riunione di uomini notabili dei borghi di Moneglia, Framura, Sestri, nel 1220 e in documenti successivi a quella data. Secondo i fratelli Remondini (“Parrocchie dell’Arcidiocesi di Genova”, 1888), dovrebbe trattarsi di parrocchia molto antica anche se non si trova indicata nei catasti del XIV secolo, e la prima citazione è in Monsignor Bossio nel 1582. I Remondini citano inoltre una lettera, datata al 1769, in cui il parroco Francesco Maria Riccio scriveva all’Arcivescovo Lercari: “Questa chiesa esiste da otto e più secoli”, sostenendo dunque una fondazione intorno al X secolo. Non si hanno dati precisi circa la costruzione e la pianta della chiesa originaria ma si sa che era a due navate e che fu in parte distrutta dal crollo del campanile, colpito da un fulmine nel 1790. Fu riedificata conservando solo l’antico coro e fu ultimata nel 1800. La struttura finale della chiesa è ad un’unica navata centrale arricchita da quattro cappelle mezzo incavate.

Un’iscrizione, ora conservata in sacrestia, attesta che nella seconda metà del XVII secolo la chiesa era sottoposta ad uso di rettori (fra Giacinto Visconte, dell’ordine dei domenicani) con l’obbligo di celebrare ogni mese la Messa. 

Il santo titolare è San Saturnino, vescovo di Tolosa, martirizzato nel 251 poiché si rifiutò di sacrificare un toro a Giove: la visita al suo corpo santo e la sua venerazione sono tra le tappe dei pellegrinaggi lungo la via Francigena e le sue diramazioni, citate nella Guida del pellegrino, datata al XII secolo. Sono degni di attenzione gli scranni del coro che provengono dalla soppressa chiesa dei francescani di Moneglia. Nella volta absidale e nel soffitto “I misteri del Rosario” furono dipinti da Giovanni Grifo, detto “Il pittore delle Madonnine”. Interessante è un antico trittico in legno con il Salvatore, S. Giovanni Battista e S. Pietro, il Nazareno e l’Annunciazione nel primo altare a destra. Al secondo altare di sinistra si può osservare una statua della Madonna del Rosario della scuola del Maragliano. L’altare maggiore, in marmo, proviene da una della chiese genovesi soppresse nella prima metà del XIX secolo. 

Testimonianza di una risistemazione nella seconda metà del XIX secolo sono, invece, gli affreschi di Giuseppe Canevelli, con l’iscrizione Ad honorem S. Saturnini Episcopi Martyris Ecclesiae Tolesanae che data l’opera al 1865. 

Il campanile fu ricostruito soltanto nel 1850. Sul suo paramento esterno compare un marmo con lo stemma dei Fregoso, nobile famiglia ascesa alla politica genovese dal XII secolo. A questo proposito è opportuno rilevare che Moneglia fu conquistata nel 1425 da Tommaso Campofregoso, ex Doge di Genova e Signore di Sarzana: tale conquista causò dissidi interni tali, che portarono all’abbattimento del campanile della pieve di Moneglia nel 1433 e i più accaniti nel volerlo abbattuto furono proprio gli abitanti di San Saturnino, Tessi, Serro e Monte, al fine di liberare l’accesso al borgo di Moneglia per questi piccoli centri. Ma quando fu ristabilita la pace, gli abitanti stessi di San Saturnino e delle tre altre località si rifiutarono di ripartirsi le spese necessarie alla ricostruzione del campanile della Chiesa di Santa Croce. Il Governo della Repubblica di Genova dovette così inviare loro una supplica per costringerli all’osservanza del dovere.



Tessi

Località posta tra San Saturnino e il Bracco, attualmente appena sopra l’autostrada, è citata sempre dal Giustiniani nel 1537 nella sua Descrittione della Lyguria appunto come una “villa” di Moneglia e dice che ha dieci fuochi, quindi circa 50 persone. E ancora i Remondini nel loro volume del 1888 danno notizia di una cappella dedicata a San Rocco, ingrandita nel 1836. L’attuale cappelletta è una costruzione più recente, ristrutturata, secondo testimonianze orale, negli anni 60 del novecento. Vi si celebra la Messa una volta all’anno la domenica successiva al 16 agosto, giorno della celebrazione di San Rocco al Bracco.

Negli archivi parrocchiali di Santa Croce è presente una famiglia Tessi, annoverabile tra i benestanti. Attualmente il cognome è scomparso.

 

Roverano 

E’ questa un’altra località a metà collina nella vallata di Levante, poco lontano da San Saturnino, a cui gli abitanti hanno sempre fatto riferimento come chiesa. Purtroppo è divisa in due dall’autostrada e le due parti, Roverano alto e Roverano basso sono unite da un ponte pedonale, molto panoramico che scavalca l’autostrada.

 

Comeglio

Non ci sono né documenti né testimonianze certe sull’origine di Comeglio. Il professor Fabrizio Benente, archeologo, dell’Università di Genova, durante un sopralluogo sul territorio, dall’alto del Monte Incisa, aveva ipotizzato che il pianoro su cui il paese è adagiato fosse una paleofrana, ma niente più di un’ipotesi.

Alcuni storici del passato fanno risalire l’origine del nome a Co-meglio, cioè in capo al miglio, abbinandolo con Lemeglio (lì c’è il miglio), ma non si sa di quale miglio potrebbe trattarsi, poiché. a parte le antiche mulattiere che attraversavano, molto frequentate, sia da pedoni sia da animali da soma, tutte le campagne di Moneglia, di qui non passava una via “romana” cui potesse fare riferimento il miglio. 

In ogni caso all’archivio parrocchiale di Santa Croce il cognome Comeglio compare fin dall’inizio delle registrazioni, cioè dal XVI secolo. 

La prima citazione di Comeglio come “villa” la troviamo nelle carte della podesteria di Moneglia (XIV sec.), dove appunto si elencano i castelli e le ville da essa dipendenti... “Littorno, Scaro, Stozio, Comeglio, etc...”. Anche il Giustiniani nel 1537 nella sua Descrittione della Lyguria cita Comeglio, Commiglio (con 5 fuochi e quindi circa 25 persone) sempre appunto come una “villa” di Moneglia...

Passando invece alla cappella di Sant’Anna, da un’indagine eseguita nel 2012 da uno studio di architetti, come da relazione presente in archivio parrocchiale, la chiesetta risulta risalente al XVII secolo, costruita in due corpi, uno posteriore, collegato alla torre campanaria di origine precedente e uno anteriore successivo.

Nell’opera dei Fratelli Remondini “Parrocchie dell’Arcidiocesi di Genova”, del 1888, la chiesetta risulta in buone condizioni, “a comodo dei suoi 100 abitanti” e si dice che l’altare, prima in cotto, dal 1860 è in marmo. Per quanto riguarda le decorazioni pittoriche, non avendo ritrovato riscontro certo nell’archivio parrocchiale di Santa Croce, da cui Sant’Anna dipende, si potrebbe desumere che siano state eseguite da qualche pittore locale, presumibilmente dopo la seconda guerra mondiale, periodo nel quale sono stati realizzati la maggior parte degli affreschi di Santa Croce.

 

Littorno e Stozio

Non si conosce l’epoca certa dell’insediamento del nucleo di Littorno, ma possiamo trovarne citazione come “villa” nelle carte della podesteria di Moneglia (XIV sec.), dove appunto si elencano i castelli e le ville da essa dipendenti... “Littorno, Scaro, Stozio, Comeglio, etc...”. Anche il Giustiniani nel 1537 nella sua Descrittione della Lyguria cita Littorno sempre appunto come una “villa” di Moneglia...

Non si conosce una origine certa del toponimo, ma il cognome Littorno si trova fin dalle prime registrazioni, sia nelle carte dell’archivio di Santa Croce che soprattutto in quelle di Lemeglio.

Nella storia di Moneglia del Centi (1899) Littorno è citata come luogo in cui si trova una cava di ardesia di buona qualità. 

La cappella dedicata San Bartolomeo nel centro del paese risale al XIX secolo: ce ne danno infatti notizia i fratelli Remondini nel loro volume Parrocchie dell’Arcidiocesi di Genova del 1888, citando la cappella di San Bernardo, della quale si possono vedere i ruderi, a Stozio, a metà percorso circa tra Littorno e Comeglio e dicendola distrutta. Ci informano che in quegli anni, gli abitanti ne avevano costruita un’altra, dedicata a San Bartolomeo Apostolo, rappresentato in tela da Rosa Bacigalupo Carrea intorno al 1850.



Riguardo alla cappella di San Bernardo di Stozio non se ne conosce la data di costruzione. Certo è che anche località Stozio è citata da Agostino Giustiniani nel XVI secolo, nella sua Descrittione della Liguria; potrebbe trattarsi di una “cappella di strada” del Cinquecento, cioè un edificio di culto che si trovava lungo le vie di percorrenza, con finestre voltate in facciata per poter scrutare comunque all’interno. 

Su località Stozio esiste una “leggenda” che potrebbe anche spiegare il perché dell’abbandono della cappella stessa e del vecchio abitato che doveva trovarsi poco più in basso. Si dice, infatti, che le case siano state abbandonate a causa di un’ “invasione” di formiche, ed è questa una tradizione orale che gli anziani del paese ancora raccontavano una ventina di anni fa e si tramandavano nel tempo.

 

Lemeglio

La posizione assolutamente invidiabile del paesino ha contribuito, nel tempo, a rendere questo piccolo paradiso, tra cielo e mare, un rifugio per molti turisti. Lemeglio è un piccolo borgo, sulla dorsale di una collina affacciata sul mare, ritenuto di origine romana, da alcuni storici i quali collegano l’etimologia del toponimo a “milium” (ovvero la misura itineraria romana “miglio”). Tuttavia è opportuno sottolineare che la citazione di un Lemellium sulla cosiddetta “Tabula alimentaria” rinvenuta nella romana Veleia (II secolo d. C.) non corrisponde al Lemeglio monegliese, come dimostrano gli attenti e dettagliati studi di Nicola Criniti, dell’Università di Parma. Secondo notizie per il momento non documentate, sembra che in seguito a un’incursione saracena, nell’XI secolo, la frazione di Lemeglio inferiore sia stata distrutta, e i suoi abitanti, tranne donne e bambini, siano stati uccisi. Fino al XIII secolo viene inoltre menzionato il nucleo abitato di Zuccà, localizzabile probabilmente nella zona dell’Acquaio, una piana poco sotto l’attuale Lemeglio. Sembra, dunque, che tale abitato sia stato travolto da una frana dopo il 1200. 

Le case, tipicamente liguri, si raccolgono tutte intorno alla chiesa di Santa Maria Assunta che sorge sulla sommità di un’ampia scalinata scavata nella roccia e la facciata denota i caratteri tipici del gotico ligure, con paramento a fasce alternate in marmo bianche e nere. La chiesa è divisa da tre navate mediante un solo pilastro per lato. Anticamente aveva quattro altari ora ridotti a tre. Il campanile è provvisto di sole due campane una delle quali porta la data del 1350 e l’incisione “Ave Maria”. Da segnalare un’opera del Procaccini raffigurante San Carlo.


Dal paese è possibile raggiungere gli scavi archeologici di Monte San Nicolao. Questa zona in epoca medioevale, era crocevia di importanti vie di comunicazione, comprese le famose “Via Francigena” e “Via Romea”; e per questo era necessaria la presenza di strutture di accoglienza per viandanti e pellegrini: gli hospitalia. Uno di questi era l’Hospitale de Petre Colicis, oggi identificabile con l’area archeologica del Monte San Nicolao, dove le indagini archeologiche condotte negli anni 2000, hanno portato alla luce una chiesa romanica, dalla planimetria a forma di croce latina con tre absidi semicircolari, delle sepolture e alcuni vani.

 

Casale

Località Casale, situata sulla collina che divide le due vallate di Moneglia, occupa una posizione molto panoramica. Secondo tutti gli studiosi di toponomastica il nome deriva da Casa. E’ citato già nelle carte della Podesteria di Moneglia (XIV sec.), dove appunto si elencano i castelli e le ville da essa dipendenti... “Littorno... Campo sottano, Campo soprano, Bracco, Casale etc...”. Anche il Giustiniani nel 1537 nella sua Descrittione della Lyguria lo cita proprio con questo nome, “villa denominata Casa con 12 fuochi”.  

La piccola chiesetta è dedicata a San Giacomo e San Lorenzo. Non se ne conosce l’epoca certa, ma le dedicazioni a San Giacomo (e San Lorenzo) risalgono ad epoca antica intorno all’anno mille. I fratelli Remondini, nel loro volume Parrocchie dell’Arcidiocesi di Genova del 1888, la descrivono con altare in cotto, “comoda ai 260 abitanti” delle frazioni intorno, “indicata per la prima volta nel 1863”. All’esterno, su un minuscolo sagrato in risseu è rappresentato San Giacomo col tipico bordone da pellegrino e la conchiglia. E’ aperta solo nei giorni delle feste di San Giacomo, il 25 luglio e San Lorenzo, il 10 agosto.

Sul muro di una casa, poco dopo la cappella, lato mare, vi è una lapide che riporta dei versi di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, un poeta ligure: probabilmente fu messa dai proprietari a ricordo di un fuggevole soggiorno dell’autore durante la sua vita inquieta ed errante.



Crova

Località situata sul crinale della collina omonima, è menzionata già nelle carte del XIV secolo della podesteria di Moneglia come Curva, inclusa nelle ville da essa dipendenti. Non ha mai avuto una sua cappella, ma ha sempre fatto riferimento alla chiesa di San Lorenzo situata sulla vicina collina, chiesa a cui gli abitanti di Crova sono stati, nei secoli, molto devoti. E’ attraversata, fin dall’antichità, da una delle principali mulattiere che dal borgo conducevano alla via del Bracco, l’antica Aemilia Scauri, mulattiera di cui si possono vedere ancora pezzi molto ben conservati, anche se attualmente è tagliata più volte dall’asfalto.

Infatti fino alla fine del XIX secolo, data la particolare morfologia del territorio, le vie che raggiungevano Moneglia erano esclusivamente pedonali, talvolta belle, ampie, ripide in alcuni punti, mulattiere acciottolate che mettevano in comunicazione il paese o con le varie frazioni o con la via “nazionale” Aurelia, che correva (e corre) parallela al litorale, sul crinale del Bracco. Su Cenni storici di Moneglia, di padre Angelo Centi, pubblicato nel 1899 si legge “Le strade principali che si diramano dalla borgata sono tutte rapide e tortuose (…). La prima chiamata Curva (…). La seconda strada è quella di Chiesanuova o San Lorenzo (…). La terza è quella del Casale (…). La quarta strada (…) è quella di Lemeglio che va a Deiva (…). La quinta (…) è quella di San Saturnino (…).

 

San Lorenzo

La chiesa di San Lorenzo si trova sulla collina omonima; l’antico toponimo era Chiesanuova, che è testimonianza di una presenza religiosa. La tradizione vuole che un edificio di culto sia stato distrutto da Rotari nel 641, poi ricostruito e distrutto nuovamente da Federico Barbarossa nel XII secolo. Infine, sui resti di quest’ultimo fu ricostruita l’attuale chiesa. Sappiamo che la costruzione venne completata prima del 1224 grazie ad un atto stipulato in quell’ anno nel castello di Monleone e in cui veniva citata la località Chiesa Nuova, ad ecclesiam novam, confinante con il cimitero di S. Lorenzo. Fino al XV sec. S. Lorenzo fu la chiesa parrocchiale, la cura d’anime venne ceduta a S. Giorgio in Moneglia nel 1415 come conseguenza dello sviluppo del borgo marinaro sulla costa. Esterno e interno dell’edificio di culto appaiono semplici: il paramento murario originario della chiesa rimane visibile soltanto in parte, sul campanile. 

Il Cardinale Clemente Dolera, che era originario di Moneglia, ed è oggi sepolto a Roma nell’Ara Coeli (con lapide che lo cita “moniliano”), si preoccupò, poco prima di morire, nel 1568, di fare ristrutturare la chiesa di San Lorenzo a sue spese. 

La tradizione riporta, inoltre, notizia che in questa chiesa e nell’adiacente cimitero venissero sepolti anche i defunti delle vicine comunità di Casarza Ligure e Castiglione Chiavarese. 

Una leggenda, invece, narra che a sinistra della chiesa sia sotterrato un tesoro, rivelato da un ladro in carcere al suo compagno di cella.

 

Facciù

Questa è l’unica località che non compare tra le carte della podesteria di Moneglia, anche se la conformazione dell’abitato potrebbe far supporre una origine antica. Sicuramente il toponimo è uno dei più curiosi: compare  nelle carte d’archivio della chiesa di Santa Croce a partire dal XVIII secolo, citato come Facciule, varie volte e poi Facciù. Si potrebbe quindi far risalire a questo periodo lo sviluppo del nucleo abitato, posto in una posizione particolarmente “fortunata”, affacciato sul mare o al sole e proprio da questo affacciarsi (in dialetto “mi affaccio” corrisponde a “m’affacciu”) potrebbe derivare il toponimo stesso. 

Anche questa località non ha una cappella propria (anche se attualmente c’è un’edicola di Santa Maria Ausiliatrice): gli abitanti hanno sempre ritenuto come propria chiesa di riferimento la vicina chiesa di San Lorenzo.

sito web: https://www.comune.moneglia.ge.it/it/servizi_al_cittadino/turismo/moneglia_nella_storia.html



A cura di:  Marzia Dentone Rita Migliaro

 

 

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